Avanti nella settimana del forno spento, a cui peraltro sto facendo una pulizia che neanche la camera della Regina Elisabetta, c'è una ricetta che dovevo scrivervi tempo fa ma che ancora non avevo avuto il coraggio di postare. Motivo? La foto. Con un blog di cucina per le mani e delle ore di web marketing in saccoccia, nonché una componente profondamente pignola e perfezionista del mio carattere, postare ricette con foto che non considero "decenti" mi urta un po' i nervi. Era il caso dei ravioli. Ma con un Lumia, la sera, le foto non è che vengano granché. Tuttavia la ricetta era impellente, anche perché mi era piaciuta davvero molto, non contando poi che ve l'avevo annunciata ancora a fine Febbraio, con le istruzioni per fare la sfoglia dei ravioli cinesi... E allora ecco, ho deciso di andare contro le mie remore costanti e pubblicare la ricetta CON questa foto che non è un granché, per me, ma che urgeva.
Dopo tutte queste lamentele in cui forse avrete capito che il mio cervello è incriccato come quello di Alice in Wonderland, vi lascio la ricetta per completare i vostri ravioli cinesi e poi cuocerli in padella o al vapore: l'importante è che il forno resti spento anche stavolta... e che lo spirito dell'Oriente sia con voi! INGREDIENTI 300 gr carne macinata di suino 2 cipollotti 1 carota 1 cavolo cappuccio piccolo paprika qb 2 cucchiai salsa di soia pepe qb 1 cucchiaio zenzero in polvere PROCEDIMENTO In una ciotola lavorate con le mani(guantate) la carne macinata, i due cipollotti affettati finissimi, la carota tagliata a julienne, il cavolo cappuccio affettato, la paprika, la salsa di soia, il pepe, lo zenzero. Amalgamare bene e poi mettere un cucchiaino di composto al centro di ogni sfoglia rotonda per ravioli cinesi (ricetta QUI). Tenete il cerchio di sfoglia nel palmo della mano e dopo aver bagnato il bordo interno della sfoglia piegate come a formare una mezzaluna, poi pizzicate il bordo della stessa formando delle pieghette come un plissé. Se volete acculturarvi, in questo video un tutorial per piegare i ravioli cinesi. Ora disponeteli su un canovaccio leggermente infarinato fino al momento della cottura. Se la cottura dista poche ore dal momento della preparazione poneteli in frigo con pellicola, in modo da proteggerli da odori e secchezza. COTTURA IN PADELLA. Scaldate sul fuoco una padella antiaderente; spennellatela pochissimo d'olio, dev'essere solo un velo invisibile. Cuocete i ravioli per 5 minuti, poi abbassate il fuoco al minimo e mettete un coperchio alla padella. Continuate per 2 minuti e spegnete tutto. Lasciate i ravioli lì altri due minuti (assorbiranno il vapore) e poi servite accompagnati da salsa di soia. COTTURA AL VAPORE. Rivestite il cestello della vostra vaporiera con una foglia di cavolo cappuccio oppure con della carta forno su cui avrete ritagliato delle piccole prese d'aria. Quando l'acqua bolle mettete i vostri ravioli sul cestello (non devono toccarsi l'un l'altro) e cuocete per 6-7 minuti. Servite caldi accompagnati da salsa di soia.
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Il Cheesecake è uno dei miei dolci preferiti. Mi ci sono avvicinata quando mia madre e mia sorella compravano le buste pronte della Cameo, con la base in biscotto da fare e la crema allo yogurt da frullare e poi far raffreddare in frigo. Non sapevo che quella torta fosse vicinissima al Cheesecake, fronteggiato qualche anno dopo con successo ma mai con completa soddisfazione. Funziona un po’ come per la Sacher: ne esistono così tante versioni che trovare quella affine al proprio palato è un lavoro di anni (per me, invasata forever). Però alla fine l’ho trovata -quella da forno, certo- e un giorno ve la scriverò volentieri. Ma! E’ Estate! Mi sono ripromessa di tenere il forno spento a settimane alterne, e questa è la settimana giusta per un dessert freddo. Il problema è che a me il no-bake Cheesecake classico(il Cheesecake senza cottura) non piace – complice il fatto di non aver ancora trovato una ricetta valida.
(Se qualche buona anima ha voglia di consigliarmela vi prego, mandatemi una mail o scrivetemela nei commenti!!) Quindi eccoci qui, con un Cheesecake Estivo scomposto, stile nouvelle cuisine, ma dalla freschezza unica. Facilità di preparazione assoluta. Velocità d’esecuzione alle stelle. E, N.B., non c’è traccia di gelatina. Già, perché è la gelatina senza cottura che mi disturba nella vera no-bake Cheesecake. Invece qui parliamo di una cosina al cucchiaio, una quenelle tutta morbida e ben sagomata da costruire con i cucchiai (qui un video!) e poi il kiwi… altro che le fragole: il kiwi! A mio avviso la nota acidula si sposa alla perfezione con la crema al formaggio e le bricioline di biscotto. Il tocco in più? Gocce di caramello mou qua e là, come gocce di pioggia estiva. Bè, questo Cheesecake Estivo Scomposto mi piace molto. Perché non lo provate anche voi? Ho davvero bisogno di supporto psicologico per la settimana del forno spento! INGREDIENTI per 4 cheesecakes 125 gr panna vegetale da montare 125 gr formaggio spalmabile 1 cucchiaino di miele fluido 4 biscotti Digestive o biscotti secchi 3 kiwi caramello mou qb cannella/zenzero in polvere qb (se v’aggrada) PROCEDIMENTO Montare con una frusta (a mano! Godetevi il piacere di creare nuvole!) la panna vegetale fredda mescolata al formaggio spalmabile in una ciotola di vetro. Impiegherete 2 minuti. Aggiungete un cucchiaino di miele e finite di montare. Su un piattino preparate un letto tagliando fette sottili, quasi un carpaccio, di kiwi e disponetele a vostro piacimento. Con due cucchiai create una quenelle (video in alto) di formaggio e adagiatela sul letto di kiwi. Spolverate con biscotti sbriciolati insieme ad un pizzico di cannella o zenzero in polvere. Decorate con gocce di caramello mou. Servite freschissimo. Lo scorso fine maggio il mio ingegnere preferito ed io siamo stati ospiti della città eterna, e diciamo subito che la cartolina in testata può descrivere al 100% la nostra esperienza: cibo, bellezza e tanto love. Fortunatissimi turisti, abbiamo potuto girare la città grazie all’aiuto incredibile di Angela e Marco, coppietta multiculti(loro capiranno il perché! :D ) e adorabile, dalla gentilezza incredibile.. insomma, poveri loro che ci hanno sopportati per 2 giorni e mezzo e ci hanno fatto fare un tour meraviglioso tra le cose che vedono ogni giorno. Quanti favori avanzate! Come prima visita a Roma -sì, lo so, che vergogna, in quasi 25 anni manco una volta c’ero stata- è quasi scontato dire che Roma è una meraviglia. C’è una tale concentrazione di bellezza, storia, arte, tutto racchiuso in una città che se la giri in auto ti sembra un grande museo a cielo aperto. Ovunque mura antiche, mattoncini posati da mani che hanno vissuto millemila anni prima di noi. E fiorai aperti anche alle 3 di notte. Bè, questo non me lo so spiegare proprio. Anyway, credo che Goethe avesse ragione nel dire che sì, Roma è popolatissima di umani ma altrettanto (se non di più) di statue. Tutte con una loro storia, tutte impegnate in sguardi e gesti eterni che puntano in angoli della città che l’occhio umano coglie per un solo istante di passaggio. Ho visto monumenti dalla storia commovente e balconi, porte, giardini e viuzze pregni di qualcosa di arcano e antichissimo. E il Pantheon. Oh, il Pantheon. E i venditori di bastoni per selfie. Mannaggia li pescetti. A Roma ovviamente il cibo è buonissimo. Con il nostro budget limitato abbiamo goduto appieno dello street food tipico, such as la pizza bianca farcita (nella mia c’erano, azzuffati come in guerra: mortadella, salame, insalata, pomodori, formaggio, prosciutto crudo), gli arrosticini (that’s amore… ve li ricordate quelli all’Europa in Prato?) più buoni che io abbia mai provato, davverodavvero, e di questo devo ringraziare la Pizzeria da Mario(via dei Monti di Pietralata 12), zona Tiburtina, il cui proprietario è da fare santo anche perché m’ha tenuto da parte l’ombrello giallo che da sbadatona quale sono avevo dimenticato sotto ad uno dei suoi tavoli. Dopo le mirabolanti abbuffate (senza ritegno eh) degli arrosticini che sì-lo-so sono abruzzesi ma lì erano fantastici, arrivano nientemeno che i supplì. Miei adorati supplì! Ne avrei mangiati a carrellate tanto erano buoni. No, scusate, bbbbboni. Scoperti in un localino che li fa espresso oppure no – e a detta di Marco pure la pizza alla carbonara lì è da far paura. Il valore aggiunto sta tutto nell’autenticità del posto. Lo conoscono i romani de Roma, qualche turista ci capita per caso ma niente più. E lo sapete come vanno le cose, di solito… nel locale c’è molto più che nel turistico. Non vi ho detto il nome vero? Rimedio subito: I Nuovi Gladiatori (via delle Cave di Pietralata 16/18). Supplì a prezzi onestissimi e dai gusti più svariati: io ho assaggiato quelli classici (vero amore), quelli al salmone e gamberi(con pesce autentico dentro, mica pezzettini infimi!!) e quelli ai funghi, piselli e curry. Ne ho portati a casa 10. 10 supplì in una scatola a 300km/h per 3 ore. Credo che si siano sentiti un po’ come nei viaggi di Gulliver, o come la Cristoforetti nel rientro sulla Terra. Scaldati nel forno e poi inghiottiti da tutta la famiglia alle 20, in territorio veneto, erano spaziali. E anche il giorno dopo! Ah, e il mitico tiramisù di Pompi? Sembra che a Roma non sia così comune prepararlo di frequente.. quindi è nata una catena che ormai è storica e si chiama proprio Pompi: diversi punti vendita e una specializzazione nel dolce la cui paternità è combattuta in quel di Treviso, ma che diciamocelo, a Roma è bbbono uguale. I tiramisù di Pompi sono monoporzione, pronti da portar via o mangiare passeggiando (assedio di giovani nel locale dell’acquisto!); il mio era al pistacchio, quello del mio ingegnere alle fragole (perché, se ancora non lo sapete, fondamentalmente lui è un fragolone! :D) e quello di Marco & Angela era gusto classico. Da brava veneta che lo fa mediamente 4-5 volte in un anno devo dirlo: anche quello romano non ha nulla da invidiare alla versione ‘nordica’! E il gelato… ne vogliamo parlare? A Padova si ragiona in palline. Palline come palline di golf. Non se ne trovano tante che abbondino. A Roma no. A Roma si ragiona in cono piccolo, medio, grande. Con panna. Con Nutella. Ma il cono piccolo è grande quanto un gatto adulto, quello medio cambia di poco data la dimensione titanica del piccolo e quello grande… non ho osato indagare. Decisamente se ho voglia di andare a mangiare un gelato ed abbuffarmi tanto da cenare con quello (e rotolare verso sud allegramente), nonché di risparmiare sul costo del gatto-gelato, direi che devo andare a Roma. Me lo confermano Marco ed i suoi amici Luca e Paolo, che soffrono fisicamente quando, qui al Nord, vanno a prendere un gelato e si ritrovano con quantità da ritenere vergognose per un romano doc – e pure con la pancia semivuota poi. Come non citare, poi la pasta dell’arrivederci preparata dalla mia dolce Angela, che ci ha cucinato la sua specialità di studentessa fuori porta: pasta al pesto e ricotta! Grazie di cuore ancora, non si finisce mai di ringraziare per ogni singola gentilezza ricevuta! Insomma, Roma è proprio tutta da vedere e da gustare. Sono infinitamente grata per la possibilità che ho avuto di girarla con due guide d’eccezione e l’uomo della mia vita per mano, grata perché c’è ancora così tanta bellezza in giro nonostante cerchino di intristirci la voglia d’arte, grata perché nel viaggiare si ritrova sempre un po’ sé stessi (e anche tantissime lingue diverse che, da brava linguista, non ho potuto che origliare). Roma è da rivedere, rigorosamente in compagnia. Perché dopotutto Roma è caciara, supertraffico, accento divertentissimo, colori, capitale e eternità. Delle statue e delle persone. E anche dei sorrisi lungo la via. Sono in corso un po' di cambiamenti estivi nel mio blog, cambiamenti che sarebbe meglio chiamare migliorie, quindi non spaventatevi se a giorni alterni vedrete una modifica qua, una di là, e magari zampe di gatto stampate in qualche foto. Come è possibile intuire ho un po' più di tempo perché il corso sul commercio estero è finito e (forse) I have some room left to improve the present site. Questo corso mi ha lasciata davvero moltissime cose positive, nonché persone davvero valide e simpatiche con cui vorrei restare in contatto non perché lo dicono le convenzioni ma perché mi farebbe davvero piacere. Ognuna di loro andrebbe ringraziata a dovere. Non è forse vero che da chiunque incontriamo nel nostro cammino possiamo trarre un insegnamento? Grazie, allora, ai Corsisti Disperati 2015. Mi avete insegnato tanto e prometto che vi farò assaggiare qualcos'altro, oltre alle Madeleines! Passiamo ora alla ricetta del giorno, e già vedete la foto ecco, e allora vi prometto che poi per un pezzo starò lontana dal proporvi risotti dato che la temperatura esterna assomiglia tanto a quella del mio forno in funzione. Ma questo ve lo dovevo! L'avevo annunciato già al tempo del Risotto alle Fragole, dove pure vi avevo accennato anche al risotto alle rose.. ma per quello dovrete aspettare. La versione di mia nonna è difficile da recuperare(nella sua memoria) e le rose in giardino non profumano come quelle millenarie dei frati coltivate nelle isolette sperdute di Venezia. Nel frattempo non dobbiamo proprio sminuirci, perché questo risotto alle pesche è una vera bontà. Trovatemi la famiglia che ve lo prepara abitualmente! Ci avete pensato? Nessuno, vero?! Bene, armatevi voi di pesche rosmarino e riso, il resto lo fa la padella. Che storia ha il risotto alle pesche? Lo assaggiai la prima volta in un ristorante almeno 4 anni fa, ma lì era solo pesche e cipolla. Io gli ho dato il twist in più e il risultato è valso la raccolta di rosmarino in giardino! Pronti a provarlo? Se state cercando un modo per stupire i commensali direi che qui siamo nel perfetto incrocio tra tradizione e innovazione... e pure salute! INGREDIENTI per 3-4 persone 1 scalogno 3 pesche gialle riso qb (di solito io conto mezzo bicchiere di riso per persona) sale pepe rosmarino fresco tritato qb 1/2 bicchiere di vino bianco olio extravergine d'oliva 1 noce di burro 800 ml di brodo vegetale(più o meno) PROCEDIMENTO Tritate finemente lo scalogno e mettetelo a rosolare in poco olio in una casseruola dal fondo spesso. A doratura completata (a fiamma dolce), aggiungete 2 pesche tagliate a cubettini e cuocete per 2 minuti, schiacciandole un po' con un mestolo di legno. Aggiungete ora il riso e tostate a fiamma media per due minuti, poi sfumate col vino bianco e lasciate evaporare sempre mescolando. Iniziate ora la vera cottura del riso. Allungate man mano con il brodo fino a quando non si asciuga e procedete in questo modo. Dopo 10-12 minuti aggiungete la terza pesca, che avrete frullato grossolanamente (senza osso centrale s'intende). Salate, pepate. Terminate la cottura, aggiungendo una noce di burro e il rosmarino tritato. Lasciate riposare coperto per un minuto e poi servite. |
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