L’estate non è ancora arrivata, per quanto tutti nel nostro piccolo ci sforziamo di archiviare del tutto golfini e maglioni, ma purtroppo il meteo è quel che è e se del doman non v’è certezza non c’è pericolo, non ce n’è neanche per la stabilità del sole in cielo - tanto per rassicurarvi qui piove ora.
Oggi ho pensato alle grigliate, anche perché per Food.com maggio è il mese del barbecue. Dai, a chi non piacciono le grigliate? Bastano un po’ di temperature miti per sguinzagliare i predoni delle postazioni pubbliche nelle vallate, quelli che partono alle 6 di mattina per essere lì alle 7 ed accaparrarsi quel caminetto di pietre buttate là. In previsione del mezzogiorno, ovviamente. Sia mai che qualcun altro scippi il territorio predestinato. E poi ci sono io, che le grigliate le adoro… ma nei giardini delle case. Sarà pure un lavoraccio, ma sedersi in compagnia a gustare della carne cotta alla perfezione con i raggi del sole sulla schiena è una cosa che mi piace molto. Devo confessare però che le grigliate le cura lui, il mio ingegnere. E’ davvero un asso nell’organizzazione e nella cottura su griglia, e ogni volta è un vero successo. Però ho pensato alle donne, stavolta. Quelle che preparano la carne per gli uomini(compresi quelli che vantano doti culinarie speciali e poi rompono tutte le salsicce sulla griglia a forza di punzarle) il giorno prima, magari avvolta in odori e spezie. E che se il tempo cambia all’improvviso e il barbecue non è protetto si ritrovano con la carne pronta da cuocere, cruda. Come, non si sa. E mo’ ? Mo’ arrivano le BBQ Ribs al Forno. Ottime anche d’inverno, nel caso l’astinenza da barbecue sia troppa, ma d’estate sono il top del top. E poi sono LACCATE. Laccate di salsa bbq. E ho detto tutto. USA rules. Io ovviamente vi fornisco la ricetta al forno, perché meglio prevenire che curare, e anche se la cottura vi può sembrare un po’ lunghetta credetemi che ve ne dimenticherete al primo boccone. La ricetta l’ho trovata nel blog di Laurel, che ringrazio di cuore perché porta un po’ di USA veri anche qui in Italia. Semmai le voleste fare sulla griglia normale… bè, credo che avrete un risultato eccellente pure con quella. Ho cambiato qualcosina della ricetta originale: tempo di cottura, spezie. Ma il risultato ottimo l’ho ottenuto eccome :) Indovinate con i complimenti di chi? Sì, proprio lui, il mio re della griglia. Il forno come buonissimo sostituto del bbq: why not? Mica si può sempre aver voglia di preparare tizzoni e cenere rovente o fare a cazzotti con il predone della griglia di turno…… INGREDIENTI 20 costine (attaccate in file di 3-4 ma incise tra loro quasi del tutto) salsa barbecue (1 tazza) DRY RUB (aka "massaggio secco") - foto in basso: 2 cucchiai rasi di sale grosso 2 cucchiai di zucchero di canna 3 cucchiai di paprika dolce peperoncino in polvere a vostro gusto 1 spicchio d’aglio tritato 1 tazzina di senape in pasta due macinate di pepe nero PROCEDIMENTO 24 o 12 o 6 ore prima della cottura: spennellare le costine con poca senape (a me personalmente non piace ma giuro che non si sentirà a fine cottura.. concorre per il gusto e basta) su tutti i lati. Unire tutti gli ingredienti secchi del DRY RUB in una ciotola, aglio compreso. Mescolare bene e applicare cucchiaio dopo cucchiaio il dry rub alle costine, massaggiando ogni volta per farlo aderire bene su ogni lato. Dovrà insaporirle bene, sarà la vostra base. Avvolgete le costine in pellicola e ponete in frigo a riposare fino al momento della cottura. Cottura: Preriscaldate il forno a 115°C. Porre le costine su di una placca da forno a gratella(tipo quella che vedete in foto) e posizionate due-tre piani più in basso una placca normale per raccogliere i sughi in cottura. Cuocere per un’ora e mezza/due (dipende dal forno, le mie erano pronte in un’ora e mezza) avendo cura di spennellarle due volte, su tutti i lati, di salsa barbecue: fatelo una volta a metà cottura e l’altra volta a dieci minuti dall’estrazione definitiva. La carne sarà cotta quando una forchetta riuscirà a trapassare la carne morbida e distanziare la polpa dall’osso. [Caso di cottura raro: se vedete che all’interno le vostre costine non sono pronte ma all’esterno bruciacchiano copritele con carta stagnola e continuate la cottura.]
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Della Pavlova se ne parla in ogni dove. Meringa, panna, frutta. Easy, no? In realtà la faccenda è più complessa. E non sto parlando dell’epica disputa tra Australia e Nuova Zelanda, che si contendono la paternità dell’invenzione dolciaria, ma di tutta la storia che ci sta dietro. Probabilmente saprete anche che la Pavlova si chiama Pavlova perché era proprio lei, una ballerina russa, la musa dell’invenzione dolce. Di solito le storie si fermano qua e terminano con un bel “MMMMMHHH!” all’assaggio. Ma io protesto! C’è di più sotto, molto di più. Anna Pavlovna Pavlova -dove Pavlovna sta per il patronimico- era una ballerina russa vissuta nei primi anni del Novecento (born in 1881). Di umilissime origini, stregata dal balletto, fece di tutto per entrare nell’accademia imperiale di danza, tempio dell'arte tersicorea. E fu un successo. Dopo essersi affermata per bravura colse l’occasione e iniziò a girare per l’Europa, sempre più conosciuta, apprezzata ed invitata nei teatri più famosi. Visse la maggior parte della sua vita tra treni e valige, acclamata, amata, riconosciuta ovunque non per la forza dei suoi salti ma per la delicatezza decadente dei suoi movimenti (qui un video). Anna Pavlova fu la prima ballerina al mondo a diventare testimonial della danza internazionale ed in continua tournée: mai nessuna prima di lei si era spinta così in là, tra i confini delle Nazioni, per un periodo così prolungato – una vita intera. Era una donna forte e delicatissima. Nella sua villa inglese un giardino con stagno ospitava cigni diventati domestici (quello in foto è Jack). Si dice le obbedissero come gatti. Morì di polmonite nel 1931, a ridosso di uno spettacolo parigino in cui avrebbe dovuto essere Odette ne Il Lago dei Cigni. Pochi istanti prima di morire le sue ultime parole furono: “Preparate il mio costume di scena”. Il Lago dei Cigni andò in scena, ma alla celebre musica della morte del cigno il sipario si aprì su un palco vuoto, buio. Una sola luce di riflettore, seguendo la musica, cercava sul palco un cigno che non c’era più. Ad Anna è dedicato questo dolce meraviglioso, in vista di una visita in Nuova Zelanda. Fresco, dalla consistenza sorprendente: meringa solida fuori e consistenza interna di panna, perché anche la meringa resta morbida, dentro. Quasi una mousse. Non stucchevole, non eccessiva. Un bilanciamento perfetto, come una ballerina sulle punte. Credo sia il dolce più bello che io abbia mai prodotto. E credo sia il modo perfetto per onorare la carriera di una grande artista, vissuta in una nuvola di tulle, cigni e fatica incredibile per restare nella storia non solo nelle biografie ma anche nella cucina di tutti quelli che fanno il suo nome, magari anche senza sapere tutto quel che di grande e meraviglioso c’è dietro alle quinte. Dopo dieci anni di danza non potevo non raccontarvi questa storia, proprio no. A voi la Pavlova della Pavlova, perché è sua in tutto e per tutto. Ed innamorarsene è semplice come fare un plié. INGREDIENTI 6 albumi 280 gr zucchero semolato fine 1 cucchiaino di aceto 300 ml panna fresca (io ho usato quella vegetale, già zuccherata – se non l’avete unite 2 cucchiai di zucchero a velo alla vostra panna fresca normale) vanilina o mezza bacca di vaniglia (i semini) fragole qb mirtilli qb foglioline di menta viole (sono commestibili, a patto che siano coltivate senza pesticidi nel vostro orticello) PROCEDIMENTO Con il frullino montate gli albumi aggiungendo poco zucchero alla volta. Continuate per circa 6-7 minuti, non meno. Aggiungete, nel frattempo, l’aceto. Dividete la meringa a metà e ponetela su una placca foderata di carta forno: ogni disco di meringa dovrà avere un diametro di circa 20 cm. Infornate in forno preriscaldato a 160°C per 55-60 minuti. Estraete e lasciate raffreddare. Montate la panna fredda con la vanilina fino a che non sarà bella soda. Componete il dolce: adagiate su un’alzatina il primo disco di meringa, spalmate della panna e guarnite con dei pezzettoni di fragola, coprite con il secondo disco e fate una leggerissima pressione. Completate con la restante panna ed i restanti frutti di bosco. Guarnite con menta e viole, se vi aggradano. Tenete in frigo fino a 10 minuti prima dalla consumazione. Si conserva non più di 48h. Dopo l’assemblaggio consumare entro 3-4 ore. Da quando ho iniziato a fare il sushi (primo episodio della saga raccontato in questo post) tante persone hanno iniziato a chiedermi informazioni su reperibilità degli ingredienti, sostituzioni italianizzate di strumenti, combinazioni di gusti… ma la domanda più ricorrente è sempre stata: “Ma come fai a farlo?? E’ difficilissimo!!”. In realtà il sushi non è difficile. La sua storia e il suo ‘onore’ lo sono, quello sì. Di siti dedicati ne è pieno il mondo, e non a caso negli ultimi anni proprio qui in Italia c’è stato un vero boom di aperture di sushi bar, sushi wok e sushi qua e sushi là. Una vera rivoluzione, se si pensa che una decina di anni fa l’unico cibo esotico in Italia era il messicano… o il kebab. Io devo dire la verità: di tutto questo sushi ne sono entusiasta. Perché checché ne dicano i più intolleranti e i più ottusi, il sushi è buono e fa bene. Bisogna sempre partire dal presupposto però che il sushi buono bisogna riconoscerlo, cercarlo, trovarlo… oppure farlo. Ecco quindi che subentro io, che di giapponese non ho neanche le sopracciglia, ma che amo fare felici le persone presentando un super vassoio da 40 pezzi di sushi, come potete vedere nella foto sopra. Non sarà come il sushi di Jiro Ono (a 88 anni ha il sushi bar più famoso al mondo, in Giappone – ed ha servito anche Obama), ma prepararlo e poi gustarlo è un bellissimo percorso. Ci terrei a consigliarvi una sorta di manuale che ho acquistato recentemente: “In Linea con il Sushi” di Makiko Sano, autrice straordinaria e straordinaria sushi maker (pensate che ha preparato e servito il sushi anche alla Regina, a Buckingham Palace!!), nonché gentilissima persona… come potete vedere dai suoi personalissimi commenti a una mia foto su Instagram (dove sono thegrowlingpatry). Già ne sapevo qualcosa di sushi, ma il suo libro mi ha veramente aperto le porte della comprensione su quest’arte deliziosa. E poi io resto sempre la ‘cartacea’ di turno. Il web è una fonte inesauribile, certo, ma avere un bel libro a casa supera tutto, sempre. Ma ora passiamo ai dati pratici: ecco un po’ di direttive su come iniziare a fare il sushi in casa. REPERIRE GLI INGREDIENTI – NEGOZIO ETNICO A PADOVA PER IL SUSHI E’ fondamentale non sostituire gli ingredienti-elementi base per fare il sushi, e non serve spendere un capitale al supermercato italiano del paese (perché le alghe lì costano un botto, I know!): basta spostarsi un po’ più in là. Il mio negozietto etnico di fiducia è quello di una signora filippina, a Padova, in Riviera Businello n. 4(la stessa via della Questura, per chi è Padovano as me): si chiama "La Etnica". Ha tutto l’occorrente e anche di più, ed i prezzi sono economicissimi. La qualità è buona, il posticino è piccolo, ma se volete ci trovate pure le bacchette per papparvi il vostro risultato finale. GLI INGREDIENTI BASE DA TENERE IN DISPENSA 1. Le alghe. Alga nori, o Roasted Nori Seaweed per Sushi. Ogni confezione ha dentro circa 10 fogli, e vi basteranno per un bel po’, garantito. Come si usano: il riso per sushi va steso sulla parte più rugosa dell’alga, come insegna Makiko Sano. 2. Aceto di riso. O Rice Vinegar, o Seasoning for Sushi. Fondamentale per creare la miscela che andrà a condire il riso, appena cotto, per renderlo lavorabile e pronto per incontrare le alghe. 3. Riso a grani corti. Se non trovate quello giapponese come me(che è più glutinoso di solito) acquistate al vostro normale super il Riso Originario. Fate conto che 300 gr di riso creano 40 pezzi. Io di solito mi regolo con 200 gr alla volta se non ho aspirapolveri come ospiti per cena. 4. Salsa di soia. O Soy Sauce. Fondamentale per pucciarvi il vostro sushi quando sarà bell’e pronto. Non compratela al super, i prezzi sono vergognosi. Andate all’etnico! 5. Pasta Wasabi. Verde, quando te la presentano sui piatti al ristorante sembra una cacchetta verdognola senza senso(è così, ammettiamolo). In realtà il suo gusto piccantissimo è dovuto dalla radice di rafano da cui è ricavata. Il mio ingegnere la mixa alla soia e poi procede col pucciamento, e a me si arricciano i mignoli dei piedi perché non la amo particolarmente. Però c’è un però!! Inserita nel sushi al momento della creazione sa tirar fuori il meglio di certe combinazioni, tipo i Futomaki con salmone e stracchino (i quarti partendo da destra nella foto in alto). GLI STRUMENTI DA TENERE PRONTI - foto in basso: il mio piano di lavoro 1. La Stuoia per Sushi. Senza di quella arrotolare il sushi sarà come pettinare un gatto senza pelo. Costa 1 Euro, la trovate in ogni bazar orientale in circolazione. Per usarla ricopritela sempre di pellicola facendoci 2-3 giri intorno. E’ molto più igienico e più comodo: vi risparmierete di lavarla e sarà semplicissima da usare la volta dopo, sostituendo la pellicola. 2. Una ciotola di plastica. Per il riso appena cotto: vietato metterlo a riposare con il condimento (con ventilazione in corso) in una teglia di vetro o metallo. La regola giapponese dice legno o plastica. 3. Un mestolo di legno. Da usare nella cottura del riso (solo nella fase iniziale, come potete leggere in questa ricetta) e per amalgamare condimento e riso cotto. No metallo! 4. Un ventaglio o un ventilatore: l’incontro tra riso e condimento appena dopo la cottura richiede prolungata ventilazione (manuale o meccanica) per far evaporare l’aceto di riso. Pena una stoppa ingestibile. 5. Una ciotolina con acqua e aceto di riso per bagnarvi le mani per toccare il riso da sushi e stenderlo sulle alghe. Per quanto riguarda le combinazioni di sushi, poi, io dico sempre che si va a gusti personali e a naso. Certo, il pesce nel sushi è la morte sua, a patto che, se non cotto o affumicato, sia stato abbattuto dal pescivendolo per eliminare l’anisakis (batterio mica simpatico eh). Qui sotto, alla fine del post, troverete delle combinazioni vincenti che ho sviluppato in questo mio percorso felice col sushi homemade. Ah, i tipi di sushi sono molteplici, ma si distinguono per alghe interne o esterne, forma oppure quantità di ingredienti all’interno. Sfido qualsiasi italiano medio a ricordarne più di 5. Eheh!! E’ normale, l’esperienza vien mangiando! Per chiarirvi un po’ le idee ecco che più giù c’è una bella foto incrociata nel web che vi spiega le tipologie varie… non resta che scegliere la più bella e cimentarsi! Io adoro i nigiri al salmone. Semplicissimi ma ottimi. E sembra che i nigiri siano proprio il tipo di sushi da strada prediletto dai Giapponesi. Toh, allora le mie sopracciglia hanno un che di Jap allora…….. PER FINIRE: PERCHE’ PROPRIO IL SUSHI? Non perché è di moda, questo no. Ma perché è buono, sano, bello, fantasioso. Farlo in caso vi permetterà di variare moltissimo dagli standard proposti nei locali jap e fake-jap: ho letto anche di foodblogger che hanno fatto il sushi con tartare di carne. Why not? Quindi largo alla fantasia rispettando l’arte del sushi, che spero vi appassionerà dopo la prima volta che avrete provato a farlo in casa (e a mangiarlo in pace senza camerieri frettolosi intorno!). Spero di essere stata abbastanza esauriente, per domande, dubbi o correzioni lasciatemi un commento! :) COMBINAZIONI DI SUSHI MADE IN THE GROWLING BREAKFAST Gunkan vegetariani con frittatina alla soia, carote viola scottate ed erba cipollina Futomaki salmone, stracchino e wasabi Futomaki surimi, lattuga e salsa rosa Uramaki salmone e avocado, con semi di sesamo e papavero Uramaki frittata alla soia, tonno e lattuga Suggerito da Makiko Sano: Hosomaki tonno ed erba cipollina Maggio si prospetta un mese piuttosto full: il blog potrebbe risentirne come no, ma francamente ho così tante ricette da consigliarvi, testare, fotografare che difficilmente mi farò sconfiggere dalle giornate troppo piene. Non voglio trascurare nulla, men che meno lui, che vedete qui sotto :) Da poco abbiamo recuperato quattro piccoli coniglietti che hanno perso la mamma, e ci occupiamo di sfamarli come si sfamano i bimbi piccoli: con un biberon e spesso, tanto spesso. Questi piccoletti hanno poco più di due settimane, saltellano, eccome se saltellano, e sono così dolci che andare in brodo di giuggiole in loro presenza è diventata una consuetudine. Ed ecco che dopo le pappe i coniglietti si accumulano sulle mie gambe, zona pancia, e si fanno di quelle dormite pazzesche. Potrei chiamarli tutti Bianconiglietti, ma sarebbe bello riuscire ad identificarli e dare loro un nome diverso per ogni paio di orecchiette, non fosse che sono tutti dello stesso colore – ovvero bianchi, you see. Attualmente li distinguo per volume-del-culotto-cicciotto. Questo che vedete è Brioche, o Pagnottina, devo ancora decidere, ma forse assomiglia più a un panino cinese al vapore che a una brioche. Restando in tema di biancore oggi vi porto la ricetta delle Crostatine Vegane. La frolla arriva da Luca Montersino, pasticcere italiano famoso nel mondo, e cade a fagiolo nel periodo in cui la mia amica Ilaria ha scoperto di essere intollerante al lattosio. A lei e a tutti quelli con il suo stesso problema (e anche ai curiosi come me!) consiglio di provare questa variante anallergica e tutt’altro che insapore. Vi accennavo del pallore, giusto? Non essendoci uova qui l’unico giallo che vedrete nella pasta sarà quello della curcuma, se deciderete di usarne nell’impasto! Leggera, facilissima, perfetta per variare l’abitudine: la frolla vegana mi ha piacevolmente sorpresa. E su quella tovaglia a quadretti un Pagnottina saltellante ce lo vedrei bene… INGREDIENTI 250 gr farina 0 250 gr farina di kamut (o altra farina 0, o farina di farro integrale..) 250 gr zucchero di canna 130 gr acqua 70 gr olio di semi 70 gr olio extravergine d’oliva 1 cucchiaino raso di lievito per dolci (o bicarbonato per gli intolleranti ai lieviti) vanillina [facoltativo: mezzo cucchiaino di curcuma] marmellata qb (la mia era di mirtilli) PROCEDIMENTO Mettete lo zucchero in una ciotola insieme all’acqua e mescolate bene fino a quando non si sarà quasi sciolto tutto. Aggiungete anche l’olio e mescolate velocemente con una forchetta per amalgamare meglio, unite le farine un po’ alla volta, il lievito e la vanilina. [Anche la curcuma se decidete di usarla] Lavorate fino ad ottenere un panetto liscio, che avvolgerete nella pellicola e metterete a riposare in frigo per 2 ore, più o meno. Per dimezzare il tempo di riposo stendetelo un po’ con un mattarello, avvolgetelo in pellicola e lasciate in frigo 1 ora. Utilizzate come una normale frolla: stendetela tra due fogli di carta forno leggermente infarinati. Rivestite degli stampini da crostatina, formate la trama a griglia o dei decori con la pasta avanzata. Riempite gli stampini rivestiti con della buona marmellata e rifinite con le decorazioni. Infornate a 170°C per 30 minuti. |
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