Nel mio piccolo mondo di quotidianità sto di nuovo iniziando ad analizzare le cose come facevo quando ero un’adolescente poco propensa (un altro modo per dire ALLERGICA) a stare in mezzo alle it girls della mia classe. Avete presente quella coi brufoli, i vestiti riciclati dalla sorella più vecchia, la naturale propensione a NON spiccare per non essere al centro dell’attenzione? Su le mani, piacere ero io. Ammetto di aver abusato davverodavvero molto del mio pensiero frenetico fino a.. vediamo… circa fino ai 21 anni. E’ stata una vita passata a ponderare, considerare, spulciare il motivo di qualsiasi cosa, ma soprattutto il motivo delle convenzioni tra umani. E scrivere. Vivere metà nella propria mente e metà nella realtà delle cose. Già. Pochi giorni fa ho compiuto 25 anni, un quarto di secolo per gli amici, e ho iniziato a sentirmi triste ad aver abbandonato tutta la ricerca del tutto che ho inseguito per il 97% della mia esistenza. Eventi sfortunati, che ora sono diventati fortunati dato che mi hanno portata sin qui, mi avevano fatto abbassare l’asticella dell’analisi e convinta a non farmi più troppi problemi o troppe paranoie. A volte bypassando dettagli e ragionamenti che in precedenza facevano zampettare anche troppo velocemente il criceto nel cervello. Avevo smesso per autodifesa, credo. Ora, che ho iniziato ad assumere atteggiamenti da 25enne (tipo che se non vado a letto con il viso perfettamente pulito e purificato non ci vado, che non mi sento più così vecchia in certi vestiti che mi ci facevano sentire, che ho il tarlo del salutismo un giorno sì e uno no) mi rendo conto che non si può spegnere una mente portata all’inner conversation. Che scoperta, mi direte. Bè, per me non è stato così scontato riscoprire una cosa del genere. Complice una docente al corso -di cui vi ho parlato qui-, Caterina, (donna dotata di una tale potenza di gentilezza e con una filosofia mentale da ammirare) che un giorno disse “Dovete ragionare, vivete in un mondo che vi spegne il ragionamento, io sono qui per mettervi di nuovo in moto la testa!”. Aveva completamente ragione. Negli anni dell’università ragionavo eccome. Tanto da diventare quasi sociopatica e allo stesso tempo sociomaniaca immedesimandomi troppo nelle ore di Sociologia della grandissima prof. Rettore. E poi guardavo il mondo con occhi diversi, forse più polemici, sicuramente più guardinghi e spaventati. Da quando mi sono laureata però sono scivolata in un limbo parziale che ha fermato la mia parte più analitica. La mia naturale attitudine al raccontare storie ad un pubblico presente solo nella mia mente. In questi giorni sto ricominciando a ragionare come ragionavo allora, ma con il valore aggiunto dei 25 anni ed una serenità da amore, amicizie, progetti. Non più troppo paranoica quindi (dai, sempre un po’, sì!) ma più consapevole. Mi rendo conto che questo mio risveglio sia dovuto a tante cose, principalmente poco belle, accadute nell’ultimo anno. Ammetto di non sentirmi più come la spavalda 22enne che cantava sopra a Taylor Swift I don’t know about you but I’m feeling 22, ma di comportarmi da teenager quando me ne capita l'occasione. Febbraio, come la fine del 2014, mi ha riservato mesi duri. A febbraio ho perso molto, moltissimo. Quello che non si dovrebbe mai perdere a quest’età. Quello che non ha ancora smesso di tenermi sveglia qualche notte. E che, suo malgrado, ha contribuito al risveglio dell'analitica sopita. Ho compiuto 25 anni e il giorno del mio compleanno non ho presentato manco una torta perché non c’avevo voglia. Ho guadagnato due batuffoline pelose che fanno le fusa come trattorini quando parlo con loro. Ho ricominciato a ragionare al 100%. Ho una seria tendinite achillea sx che devo assolutamente curare se voglio tornare a ballare, ma soprattutto a ballare per lei, che ho perso a febbraio. Insomma, ho ricollegato puntini che stavano sparsi in uno spazio sereno dai colori conchiglia. Tornando a noi. Birthday. Dopo tutte queste lunghe parole, dovute assolutamente, vi lascio una ricetta che era presente la sera del mio 24esimo compleanno. E che non avevo fatto io. Portate da Paola, erano state una vera rivelazione. Fresche, buone, piccole, facilissime, veloci, una-tira-l’altra. Mi sembra giusto seguire, in occasione del mio compleanno appena passato, questo filone strambo del non-l’ho-fatto-io-anche-se-era-il-mio-giorno. Eccovi quindi le Palline al Cocco, un dessert estivo perfetto, no bake & no cake, che ho portato alle mie care Dancing Girls una sera di quest’estate torrida ritrovando la ricetta appuntata su un foglietto volante ancora un anno fa. Ringrazio ancora Paola per la ricetta (e per aver portato un dolce la sera del mio compleanno!), le Dancing Girls che lanciano hashtag pazzi quanto le nostre serate casalinghe e Daniele, che sta sempre qui, con me, e che mi ha regalato un mondo intero oltre a quelle due piccole meraviglie che vedete nella foto in stile Eravamo due amici al bar. INGREDIENTI 200 gr ricotta 200 gr cocco rapé 150 gr zucchero PROCEDIMENTO Impastate con un cucchiaio la ricotta, il cocco essiccato (farina di cocco) e lo zucchero. Deve formarsi un impasto omogeneo. Con le mani bagnate d’acqua formate delle palline rotonde e piccole e passatele nel cocco. Tenete in frigo 2 ore prima di servire. PS. Le palline potete passarle anche nel cacao, nella granella di nocciole, nelle codette colorate… be original! (ma io le preferisco comunque tutte al cocco ;) )
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