Ultimamente, o almeno da Agosto, la danza, che in qualche modo ha sempre accompagnato la mia vita fin qui, ha ricoperto gran parte dei miei pensieri, delle mie giornate, dei miei impegni in agenda. La faccenda della Compagnia è nata per caso, per necessità, in un momento in cui tutte noi avevamo bisogno di stare insieme per capire come superare il momento, e danzare ne La Traviata ci ha aiutate. Una tournée nei teatri del Veneto, persone nuove, il teatro concepito in modo diverso, ed essere ballerina è diventato più di un semplice impegno settimanale. Affrontare il palco di continuo, quindi. Una cosa che a 25 anni non avrei mai pensato di fare così di seguito, essendo abituata al massimo a 3 esibizioni l'anno.
Superare il momento, dicevo. Questo momento è serpeggiato tra i vari post, anche se questo spazio ha iniziato ad esistere quando ancora il peggio non era successo, e non ho mai voluto scriverne molto perché la privacy, il pudore, il fatto che una ricetta non richiama propriamente un momento doloroso. Questa volta invece ho deciso che una ricetta poteva anche parlare di un dolore. In questi giorni, esattamente un anno fa, Marian entrava in coma. Lei, compagna di danza e amica, per me è sempre stata collegata al corpo, ai piedi; nella danza arrivi a conoscere le tue compagne per il loro stile di movimento, come conosci i tuoi familiari per il rumore dei loro passi. Da quando Marian è entrata in coma però, ho legato al ricordo della sua malattia solamente mani. Quando l'ho vista su quel letto la prima volta non ho capito più niente. Come quando si percorre una strada conosciuta con una nebbia talmente fitta da farti percepire diversamente le distanze, annullando i punti di riferimento e lasciandoti in un vero e proprio punto di nulla. Nella fretta avevo scelto i guanti in lattice più piccoli, che mi stavano sulle mani per il miracolo della forzatura. Il camice usa e getta, la mascherina. Nebbia, e lei al centro. "Puoi prenderle la mano se vuoi", mi è stato detto. Sono rimasta con lei 5 minuti, non si poteva restare di più. Sono stati i 5 minuti più brevi della mia vita. Troppo pochi, troppo corti, troppo teneri e dolorosi al tempo stesso per salutarla per l'ultima volta. Il suo corpo cambiato, scosso da tremori continui, e lei persa chissà dove, intrappolata lì dentro. Ma era lei. Le sue manine piccole, con una forza straordinaria. Quando gliene ho stretta una è arrivata fortissima la sua, di stretta, dovuta al tremore certo, ma era pur sempre sua quella forza. Continua, di resistenza. Le unghie più lunghe del solito. La pelle liscia, la sentivo anche nonostante quei maledetti guanti stretti. Le mani sono poi diventate quelle delle mie amiche, al suo funerale. Strette, strettissime, e rassegnate, quasi rabbiose. In cerchio attorno a Marian, al centro della chiesa, a piangere così tante lacrime che nessuna di noi credeva avrebbe potuto mai contenere. Non ho mai provato così tanta disperazione, così tanto dolore e angoscia. Mai in vita mia. Prima, durante e dopo quel momento. Non sono mai stata di lacrima facile. Con lei si sono aperte tutte le dighe. Ora, in questo periodo dell'anno in cui il suo ricordo è vivissimo, come dopotutto lo è sempre stato anche in tutti questi mesi, mi capita spesso di ripensare alle sue mani. Non la ricordo in quel letto d'ospedale, stanca e consumata dalla lotta contro qualcosa di incomprensibile. La mia mente ha cancellato lo shock di non poterla aiutare in alcun modo, e ha deciso di ricordare solo il prima. La ricordo sul palco, seduta accanto a me in auto, in sala a provare, alle nostre cene insieme. L'ultima volta che ho danzato accanto a lei con i riflettori puntati addosso. Lo so che si dice di ogni persona che ci lascia quanto fosse speciale. Lo so. Marian invece era una forza della natura. Con un'eleganza pazzesca. Era una persona laboriosa, gentile. Un'ottima amica, una persona alla quale rivolgersi quando le paranoie prendevano il sopravvento, perché per me lei era già la mia dottoressa. E mi viene il magone a scrivere queste cose, ma accidenti lei merita davvero una menzione d'onore. Tuttavia... anche le persone migliori hanno un difetto: odiava la zucca. Ah, gliel'ho detto tante volte che era matta completa, come si fa a odiare così categoricamente la zucca?! Lei mi ripeteva orripilata che solo l'odore le faceva venire i conati, e che mai avrei dovuto prepararle qualcosa di zuccoso. Al che avevo aggiunto nella mia lista segreta dei cibi odiati dai miei amici "Marian: zucca". E quella dicitura sta ancora lì. Quindi ecco, molto probabilmente Marian avrebbe odiato a morte questa confettura di zucca e vaniglia, e non sarebbe stata mai capace di fare la finta accondiscendente ringraziandomi e assaggiandola, no. Lei mi avrebbe detto: "No guarda, mangiatela tu, lo sai che la odio!". Più sincera di lei... Quindi io vi lascio la ricetta della Confettura alla Zucca e Vaniglia che Marian avrebbe odiato, ma che avrei provato in tutti i modi a farle assaggiare perché testarda lei e testarda io. Questa è una delle ricette che ho più amato quest'autunno e che continuerò a preparare quest'inverno. Paradossalmente mi ricorda il suo odio per questa cosa arancione che io adoro, la sua dolcezza, e mi ricorda che per farla mi serve una presa salda sulle mani, la stessa che ha avuto lei per la mia, l'ultima volta che l'ho incrociata in mezzo alla nebbia fitta, un anno fa. E dato che ballo per lei anche questa domenica, insieme alle mie amiche, per la ricerca e per il suo ricordo, non potevo non parlare di lei. Con lo stomaco tutto ingarbugliato, certo, ma anche con un sorriso dolce verso tutto quel che di bello mi ha lasciato. Sempre con te ballerina, #sempreconnoi. (ricetta riadattata da Juls) INGREDIENTI per 7 vasetti piccoli della Bormioli 1 kg zucca pulita e tagliata a tocchetti 300 ml acqua + altra durante la cottura succo di 1 limone 1 bacca di vaniglia aperta con semini 300 gr zucchero PROCEDIMENTO Mettete in una casseruola antiaderente dai bordi alti o una pentola a fondo spesso la zucca, il succo di limone e l'acqua. Cuocete a fuoco medio-basso fino a quando il tutto diventerà molto molto morbido.Mescolate spesso con un cucchiaio di legno e aggiungete acqua se vedete che si asciuga tutta (ma non deve essere annegata ecco). A questo punto, a morbidezza estrema raggiunta, frullate con il frullatore a immersione, rimettete sul fuoco la purea e aggiungeteci zucchero e vaniglia aperta (estraete i semini con la punta di un coltello dopo averla tagliata in senso longitudinale, e usate anche quelli nella purea). Cuocete altri 15 minuti, mescolando. La confettura deve rassodarsi. A questo punto le fasi per la sterilizzazione sono due: in ogni caso lavate molto bene vasetti e coperchi e asciugateli. Caso 1: invasettate la confettura bollente usando vasetti fatti riposare in forno a 100°C per 10 minuti. Poi chiudeteli bene e capovolgeteli, coprite con una coperta e aspettate fino a che non si sono freddati. Caso 2: lasciate raffreddare completamente la confettura, invasettatela in vasetti freddi ma puliti, immergeteli in una teglia ricoperta d'acqua con un tovagliolo all'interno per proteggere i vasi da urti, portate a bollore e fate bollire per 30 minuti. Lasciate raffreddare lì dentro, quando tutto sarà freddo estraete.
0 Comments
Your comment will be posted after it is approved.
Leave a Reply. |
Who are you?33 anni, provincia di Padova. contatti social
|