La mia assenza prolungata dal blog è giustificabile in due modi: uno, è estate ed il caldo accoppa ogni voglia di usare un pc portatile che spara caldo atroce vicino a me; due, è più bello stare fuori e girare finché si può girare. Non vogliatemene, ma l’estate 2015 sarà molto irregolare in fatto di post. Non sono la tipica blogger che sforna ricettine meravigliose anche quando fuori c’è l’inferno e ogni tipo di calore casalingo viene abolito, I’m sorry ;) Magari la prossima estate.. ma questa va un po’ così, a meno che non abbiate richieste particolari di ricette! Intanto però mettetevi comodi perché ne sono in arrivo tre -di post- a tema EXPO. Voglio raccontarvi l’evento che sta facendo parlare più della politica in fatto di critiche, elogi, dati. Anche perché avrei voluto che qualcuno mi avesse fornito più informazioni personali prima di recarmici, proprio due giorni fa. L’11 Agosto 2015. E allora lo faccio io per voi, sperando possa tornarvi utile o almeno farvi ridere un poco. Ultimo appunto prima dell’inizio: i post si dividono in 3 causa valanga di cose che devo dire, cosa ho percepito e capito io senza pregiudizi o guide stampate. Due saranno sui padiglioni e le loro particolarità (ne ho visitati ben 20) e l’altro sul cibo. Le foto sono come sono, lo so, ma era importante vedere con gli occhi, not only with the camera. Se passate il cursore sopra le foto ci sono le didascalie, just to let you know. Se avete domande sapete come contattarmi: commentate :) Bene, let’s start! Il viaggio è iniziato alle ore 6.59 am, in auto, guidatore lui e passeggera logorroica io, entrambi con gli occhi ancora assonnati e le pieghe delle lenzuola sulle guance. Dal mio paesino a Milano ci vogliono circa 2 ore e 30 di strada, una quindicina di euro per l’autostrada, e una fermata all’Autogrill per aspirare odore di caffè e brioches. Siamo arrivati al parcheggio in SS. Sempione (Parcheggi Fiera) alle 9.35 am (booked & paid la sera prima QUI con tariffa 12,50 Euro – se non conoscete park liberi a MI prenotate, ve lo consiglio) e ci siamo messi in coda per entrarci; poi dopo lo sgranchimento di arti indolenziti abbiamo preso la navetta gratuita e siamo arrivati davanti ai cancelli dell’Expo. Non c’era bisogno di cartine fin lì. Bastava seguire la folla. Ed era tanta davvero. 15 minuti di coda e un passaggio sotto al metal detector e poi via, dentro. Fine dell’esposizione dei QRCodes! (e sul biglietto, e sul parking ticket..ebbbasta su!) Dall’entrata per cui siamo passati si sale su scale mobili, si fa un ponte d’acciaio coperto lunghissimissimo(e al ritorno è estenuante, garantito) e si entra. Uomini in divisa controllano i volti, sotto a divise grosse e sole cocente. La postazione per acquistare il Passaporto Expo (5 Euro) in cui rifornirsi del libretto per farsi fare i timbri da ogni padiglione visitato. E improvvisamente ci si trova sotto al Decumano. 1,5 km di lunghezza e di padiglioni stranieri, intersecato dal Cardo, altro grande viale ma tutto a tema Italia. E davanti, intorno, dietro, all’orizzonte: solo teste. E sorrisi, stupore, meraviglia, colori e dita puntate su strutture futuristiche e armoniche. Si comincia. Il nostro primo padiglione è quello del Vietnam, sulla destra. Piccolo, dal forte profumo di legno. Oggetti musicali, servizi da tavola, materiali quasi mistici. Un piccolo palco con strumenti musicali strani. Il secondo, la Corea, sulla sinistra, a forma di Vaso Luna, ceramica tradizionale coreana usata per la fermentazione dei cibi; l’unico che ci fornisce depliant sul cibo locale e pure una mega piantina turistica della Corea. Una scalinata bianchissima e, sulla parete destra tantissime scritte metalliche che rispondono alla domanda: “Qual è il tuo piatto preferito?” Il Korean Pavilion è stato studiato molto bene e la relazione cibo-fame nel mondo è centrata in pieno. Il più chiaro tra tutti i padiglioni visti. Si parla di obesità, di cosa si dovrebbe mangiare e cosa no. Giochi di robot-schermi spiegano il valore del cibo in maniera quasi ipnotica. Si spiega il metodo della fermentazione, tecnica tradizionale. La parte che scuote di più le coscienze è un angolino bianco, con al centro un albero spoglio, anch’esso bianco. Legacci nero pece partono dal muro e avvolgono i suoi rami. Ai suoi piedi, l’ologramma di un bambino magrissimo, calvo, accucciato, che guarda una volta il terreno, l’altra il pubblico. Toccante e vero. Il nostro viaggio tra i Paesi continua a zigzag, e percorriamo il Decumano come minimo un milione di volte. Ma andiamo con ordine per voi altrimenti vi viene mal di piedi anche solo a leggere. La Lituania non ci offre molto da ricordare. Piccolo, con un percorso interattivo su tablet da usare per indovinare domande come “Qual è lo sport più famoso della Lituania?”. Digerito male l’abbiamo. Bielorussia e Malesia costituiscono una visita veloce se si ha poco tempo. Noi ne avevamo molto poco, contando che il nostro biglietto comprendeva 1 solo giorno di visita (appunto: se ne avete la possibilità, fatevi 2 giorni all'expo; preferibilmente lunedì e martedì). Avendo avuto più tempo forse la memoria di questi padiglioni sarebbe stata più chiara. La Bielorussia non mostra molto di sé, la Malesia invece ha tutto un percorso tra alberi (finti, peccato), acqua, e comprensione dell'importanza della gomma e dell'olio di palma (qui il mio naso era arricciatissimo, lo sapete bene che mi sta proprio sullo stomaco), prodotti locali storici. Per il padiglione della Thailandia abbiamo atteso 20 minuti su una passerella elevata, coperta (grazie al cielo!) e dotata di nebulizzatori. La fontana con i dragoni dorati sulla destra e una coltivazione di riso thai sulla sinistra. E una ragazza molto truccata e molto gentile che ci aggiornava sul time left to go in e univa le mani ad altezza collo se qualcuno chiedeva di fare una foto con lei. Il Thai Pavilion è stato uno fra i più belli ed interessanti, a parte forse il filmato finale che elogiava un po’ troppo il re. Tutti quelli che sono usciti da quella sala con noi erano un po’ perplessi per quanto fosse stata calcata la mano sull’impegno e sulla devozione del loro re. Ma dopotutto si può anche capire. Il fascino di questa cultura comunque resta indiscusso, come pure quello del suo cibo e del trattamento riservato ad una terra così millenaria. Ma ve ne parlo nel post sul cibo, come promesso! Next step, la Cina. Da fuori, uno spettacolo. Una distesa di fiori gialli arriva fino alla sua struttura imponente e ondulata. 30 minuti di coda per entrarci, perché l’italiano medio è sempre più attratto dall’Oriente. E s’accalca alla grande. Il soffitto è pieno di ombrelli cinesi decorati. Ci sono stoviglie cinesi un po’ ovunque, la storia dell’agricoltura, tablet che ti fanno fare la spesa che non ho ben capito, ecco. Si passa accanto a foreste di pali marroncini, e poi salendo una gradinata di capisce. Buona parte del padiglione è fittissima di pali (non ci si può avventurare), la cui sommità sono neon che cambiano colore in contemporanea. Un inno al connubio tradizione-innovazione. Che ho capito ascoltando di soppiatto una guida accanto a me, altrimenti ciao a tutti, uno non ci sarebbe arrivato di certo. Cibo: nel prossimoprossimo episodio! Valutazione complessiva: mi aspettavo di più. Un vero peccato avere delle aspettative troppo grandi, a volte… Parliamo ora della Polonia. Una sorpresa, la Polonia! Molto interessante il fatto che le pareti esterne siano ricoperte di cassette di legno incastrate. E che ci sia uno chef (con traduttore) che fa show cooking. Fuori si vendono mele essiccate, il giorno prima si regalavano mele(e lo so grazie a Filippo e Moira, nostri compagni di Expo insieme a Milo ed Arianna). All’interno sono sottolineati i punti di forza del Paese. Un villaggio di cioccolato con trenino incanta i visitatori, e delle ragazze gentili compongono tisane su richiesta degli ospiti (gratuitamente). Ampia vendita di prodotti tipici e anche d’oreficeria. La mia tisana è stata composta con menta e boccioli di pino. Quando la provo vi dico com’è! Un salto in Francia era doveroso. Uno dei padiglioni esteticamente più belli al suo interno. Aperto su quasi tutti i lati, formato da assi di legno piegate ad onde strette. [e giù di congetture tra ingegneri sul come-è-fatto] Vani del soffitto (tutti) riempiti di contenitori per ogni sorta di materiale: pasta, riso, liquidi. Pentole che penzolano ordinate. E tantissime altre cose. Si cammina col naso all’insù… La sua bellezza sta tutta nel soffitto però, perché a livello terra le cose interessanti sono forse solo i filmati delle baguettes (yahuu ora so come impastarle!) e il cibo da acquistare. Segue Israele, altro Pavilion molto molto interessante perché spiega moltissime cose sconosciute ai più. Ma voi lo sapevate che i pomodorini ciliegini li hanno ‘inventati’ gli Israeliani? Non vado a svelarvi altro, per saperne di più dovrete sorbirvi Moran Atias, ambasciatrice della sua terra, che parla in ben 3 filmati (compresa l’intro) e che flirta dal video con il presentatore (umano) che vi accoglierà. Nonostante lo stile ‘coccolo’ del tutto le nozioni meritano di essere davvero conosciute. E Moran si può perdonare dai! :D Vinitaly è dedicato ai vini italiani. Ma se non compri il bicchiere per fare gli assaggi puoi solo guardare una miriade di bottiglie d’annata esposte in corridoi davvero tanto tecnologici e asettici, nei quali si aggirano sommelier in gran pompa pronti ad estrarre la bottiglia dalla parete ed elencarti le meraviglie dell’uva fermentata. Noi abbiamo scelto di non ubriacarci (dai, si fa per dire) e di evitare, non essendo grandi conoscitori del vino (pregiato e non). E non è che al momento ce ne dispiaccia, eh. Solo, quel giorno ci sono bastati i 5 litri e mezzo di acqua che ci siamo fatti fuori. In due. Ma sempre 5,5 L erano. Il vino era decisamente superfluo! Per ora mi fermo qui, che il racconto diventa troppo lungo :) Domani il prossimo post sui padiglioni, stay tuned! Che di cose da dirvi ne ho eccome!
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